Decreto su incentivi alla continuità, provvedimento frettoloso e inefficace. Si torni al contratto
Sugli incentivi economici alla continuità di servizio sulla stessa sede, oggetto del DM 258 firmato nei giorni scorsi dal ministro Bianchi, va detto anzitutto che la materia deve rientrare nella disciplina contrattuale, come prevede espressamente lo stesso DL 36/2022, da cui il decreto del Ministro prende le mosse. E questo è sicuramente un bene, perché il testo licenziato in fase di congedo dal ministro Bianchi, e al momento non ancora registrato dalla Corte dei Conti, mostra limiti molto evidenti.
L’urgenza che ha spinto il Legislatore e poi il Ministro a intervenire sulla materia è legata alla necessità di dare immediata attuazione a quanto prevede il PNRR in tema di valorizzazione dei docenti. Un’urgenza cui si devono probabilmente anche le numerose criticità riscontrabili nella prima stesura del decreto ministeriale, puntualmente rilevate dalla CISL Scuola, sottolineate poi anche nel parere negativo espresso dal CSPI, opportunamente corrette nella versione fornita ai sindacati in sede di informativa, ma alle quali si sostituiscono ora quelle riproposte nella versione definitiva, in particolare con la modifica delle percentuali di riparto delle risorse tra incentivi alla continuità e riconoscimento a chi presta servizio in aree particolarmente problematiche. Dalla previsione di una ripartizione “fifty-fifty” si è passati a un 70%-30% che modifica il riparto delle risorse a danno della tipologia di intervento (aree a rischio) cui sarebbe senz’altro più opportuno dare priorità e a prescindere dalla sede di residenza del docente.
Resta dunque l’impressione di un intervento condizionato dalla fretta, che solo in modo molto parziale - e con molti dubbi sulla reale efficacia - affronta un tema, quello della continuità, difficilmente risolvibile con la sola previsione di incentivi economici, peraltro con un budget oggettivamente limitato. È del tutto evidente, ad esempio, che la continuità didattica è ampiamente compromessa alla radice dal numero troppo elevato di contratti precari, una percentuale che sfiora anche quest’anno, avendolo superato negli anni scorsi, il 20% degli insegnanti in servizio. Questo il tema che meriterebbe di essere affrontato con giusta determinazione e maggior lucidità di progetto.
Per quanto riguarda invece l’incentivo a favore dell’impegno del personale scolastico in aree di maggior disagio, il tema è cruciale e non è inedito. È stato infatti oggetto, già in passato, di interventi (decisi non per legge, ma in sede contrattuale) volti a riconoscere l’impegno di docenti, personale ATA e Dirigenti Scolastici disponibili ad assicurare il proprio servizio con continuità in aree “a rischio educativo”. Risale al CCNL del 1999 la scelta di prevedere un compenso - allora in lire, ma che ricalcolato in euro supera di molto gli importi previsti dal DM del 1° ottobre scorso - per chi si impegnasse in progetti per il successo formativo in scuole caratterizzate da contesti socio economici fortemente problematici.
Anche oggi, proprio alla luce degli obiettivi indicati nella missione 4 del PNRR, sarebbe forse più opportuno e utile, anziché improvvisare interventi rivolti in modo generico (e come già detto di dubbia efficacia) a contenere la mobilità dei docenti, concentrare attenzione e risorse nel sostegno alle istituzioni scolastiche chiamate a operare nelle situazioni di maggiore difficoltà, incentivando l’impegno di tutte le professionalità necessarie. Lavorare nelle scuole operanti in aree di maggior povertà educativa, o in cui è più forte l’esigenza di contrastare gli abbandoni, non può continuare a essere una condizione subita obtorto collo al momento dell’ingresso in ruolo, da cui sfuggire quanto prima, ma una scelta in cui la complessità e la gravosità dell’impegno trovino anche un significativo corrispettivo economico. Sarebbe un modo per dimostrare che si prende sul serio l’obiettivo di ridurre divari e disparità fra aree territoriali, obiettivo rispetto al quale è fondamentale l’apporto di un sistema scolastico che dev’essere in grado di funzionare con particolare efficacia proprio nei contesti più deprivati e di maggior bisogno.
È sicuramente una sfida, anche per il sindacato, cercare e trovare soluzioni in questa direzione, mentre rischiano di avere ben poca utilità provvedimenti “di bandiera”, con i quali si cerca di mostrarsi “adempienti” rispetto a urgenze e problemi che non possono essere affrontati solo sulla carta.
Roma, 11 ottobre 2022
Ivana Barbacci, segretaria generale CISL Scuola